11 luglio 2017

da Elena – Ghiannis Ritsos

foto di NikiFeijen - da trendland.com
da Elena – Ghiannis Ritsos

(…)
Ora puoi andare. Si è fatta notte. Ho sonno – poter chiudere gli occhi,
dormire, non vedere né fuori né dentro, dimenticare
la paura del sonno e quella del risveglio. Non ce la faccio. Trasalisco –
ho paura di non svegliarmi più. Rimango insonne ad ascoltare
le ancelle che russano nel salone, i ragni sui muri,
gli scarafaggi in cucina, o i morti che respirano
sbuffando profondamente, quasi dormissero davvero, quasi si fossero acquietati.
Perdo perfino i miei morti adesso. Li ho perduti. Andati.

Certe volte, a mezzanotte passata, si ode giù in strada
il rumore ritmato degli zoccoli dei cavalli di una carrozza attardata, che sembra far ritorno
dalla rappresentazione funebre in un teatro pericolante di quartiere
con gli stucchi del soffitto staccati, coi muri scalcinati,
con un immenso sipario calato, rosso stinto,
ristretto dai troppi lavaggi – e dallo spazio in fondo
si intravedono i piedi scalzi del grande attrezzista o dell’elettricista
che forse arrotola un bosco di carta prima di spegnere le luci.
Quello spazio resta ancora illuminato, mentre giù in platea
lampadari e applausi sono spenti da tempo. Nell’aria
aleggia pesante il respiro del silenzio, e il ronzio del silenzio
sotto le sedie vuote, con bucce dei semi di girasole e biglietti sgualciti,
con qualche bottone, un fazzoletto con le trine, un pezzo di spago rosso.

… E quella scena, sulle mura di Troia – che fossi davvero ascesa al cielo
lasciandomi cadere dalla bocca…? – A volte mi avviene ancora di provare,
distesa qui sul letto, ad aprire le braccia, ad alzarmi
in punta di piedi − a poggiare i piedi in aria – il terzo fiore –

(Tacque. Reclinò il capo all’indietro. Forse si era addormentata. L’altro si alzò. Non disse buonanotte. Era già buio ormai. Uscendo nel corridoio si accorse che le ancelle, incollate al muro, stavano origliando. Non fecero una piega. Scese la scala interna come se scendesse in un pozzo profondo, con la sensazione che non avrebbe trovato la porta per uscire – non c’era alcuna porta. Le dita contratte cercavano già la maniglia. Immaginò anzi che le sue mani fossero due uccelli boccheggianti per la mancanza d’aria, mentre allo stesso tempo sapeva che questa immagine non era se non l’espressione di autocommiserazione che di solito opponiamo a un timore indefinito. A un tratto si udirono voci di sopra. Si accesero le luci sulla scala, nel corridoio, nelle stanze. Salì di nuovo. Ora non aveva più dubbi. La donna era seduta sul letto, il gomito appoggiato sul tavolino di zinco e la guancia sulla palma della mano. Le domestiche entravano, uscivano, facevano rumore. Qualcuno telefonava in corridoio. Sopraggiunsero le vicine. “Ah, ah”, facevano, e nascondevano qualcosa sotto le vesti. Di nuovo il telefono. Erano già arrivati i gendarmi. Mandarono via le ancelle e le vicine. Quelle fecero in tempo ad arraffare le gabbie coi canarini, alcuni vasi di piante esotiche, una radiolina a transistor, una stufetta elettrica. Una teneva un grande quadro d’oro. Adagiarono la defunta su una barella. L’ufficiale appose i sigilli alla casa – “finché si trovino gli eredi”, disse, – ben sapendo che non esistevano eredi. La casa sarebbe rimasta coi sigilli quaranta giorni, dopodiché i suoi beni – quelli scampati – sarebbero stati venduti all’asta per conto dello Stato. “All’obitorio”, disse all’autista.

La vettura coperta si allontanò. Di colpo scomparve ogni cosa. Silenzio assoluto. Soltanto lui. Si voltò a guardare. Era sorta la luna. Le statue del giardino illuminate fiocamente – le statue di lei, solitarie, accanto agli alberi, fuori della casa coi sigilli. E una luna tranquilla, ingannatrice. Dove sarebbe andato adesso?)

Traduzione di Nicola Crocetti - Quarta dimensione

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