foto di Martino Zegwaard - da picssr.com
da Elena – Ghiannis Ritsos
(…)
Questo mi
resta ancora – una sorta di ricompensa, di giustificazione a distanza, e forse
questo
rimarrà, mi dico, in qualche parte al mondo – una libertà momentanea,
immaginaria,
naturalmente, anch’essa – un gioco del destino e della nostra ignoranza. È proprio in questa posa
(per quanto
mi ricordo) che gli scultori tentavano di modellare
le mie
ultime statue; – si trovano ancora in giardino;
entrando le
avrai viste. A volte anch’io (quando le ancelle sono di buonumore
e
sorreggendomi per le ascelle mi portano su quella sedia
davanti alla
finestra) le vedo. Splendono al sole. Un calore bianco
sale dai
loro marmi fin quassù. Non riesco a
pensare più a lungo. Mi stanco
presto anche
di questo. Preferisco guardare una parte della strada
dove due o
tre bambini giocano con una palla di stracci, o una ragazza
cala un
paniere legato a una corda dal balcone di fronte.
A volte le
ancelle mi dimenticano lì. Non vengono a riportarmi sul letto.
Resto tutta
la notte a guardare una vecchia bicicletta, appoggiata
davanti alla
vetrina illuminata di una nuova pasticceria,
finché si
spengono le luci, o io mi addormento sul davanzale. Ogni tanto
ho
l’impressione che mi svegli una stella che cola nello spazio
come la bava
dalla bocca sdentata e aperta di un vecchio.
Ora
è tanto che
non mi portano alla finestra. Resto qui sul letto
seduta o
stesa – questo lo sopporto. Per far passare il tempo
mi prendo il
viso tra le mani – un viso estraneo; – lo tocco, lo tasto, conto
i peli, le
rughe, i grossi nei; – chi c’è all’interno di questo viso?
Qualcosa di aspro mi sale alla gola
– la nausea e la paura,
la stupida
paura, mio Dio, di perdere anche questa nausea. Rimani ancora –
entra un po’
di luce dalla finestra – avranno acceso i lampioni sulla strada.
(…)
da Elena -
Traduzione di Nicola Crocetti - Quarta dimensione
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