11 luglio 2017

da Elena – Ghiannis Ritsos

foto da extra.cz
da Elena – Ghiannis Ritsos

(…)
Non che abbia perso la memoria – ricordo ancora; soltanto che i ricordi
non hanno più commozione – non ci commuovono – impersonali, sereni,
lindi fin nei recessi più insanguinati. Uno solo
conserva ancora un’aura intorno a sé, respira.
Quella sera, 
circondata dalle grida interminabili dei feriti,
dalle imprecazioni sussurrate dei vecchi e dalla loro ammirazione,
nell’odore di morte generale che, in certi istanti, scintillava
su uno scudo o sulla punta di una lancia o sulla metopa
di un tempio abbandonato, o sulla ruota di un carro – salii da sola
sulle alte mura e passeggiai,
sola, completamente sola, in mezzo
ai troiani e agli achei, sentendo il vento incollarmi addosso
i pepli sottili, tastarmi i capezzoli, sorreggere tutto il mio corpo
vestito e denudato, appena una larga cintola d’argento
che sollevava in alto i seni –
così bella, intatta, provata,
nell’istante in cui i miei due rivali in amore si battevano a duello e si giocava il destino
di quell’annosa guerra; –
non vidi neanche rompersi il legaccio
dell’elmo di Paride – forse scorsi un bagliore del rame,
un bagliore rotondo, quando il suo avversario lo fece roteare – con rabbia
sopra il suo capo – uno zero di luce.
Non valeva la pena di guardare; –
l’esito lo avevano fissato in anticipo le volontà degli dèi; e Paride,
privo dei suoi sandali impolverati, si sarebbe presto ritrovato sul letto,
lavato dalle mani della dea, ad aspettarmi sorridente,
magari nascondendo con un cerotto rosa una ferita immaginaria sul fianco.

Non guardai più; non udivo quasi i loro gridi di guerra –
io, lassù, sulle mura, sopra le teste dei mortali, aerea, carnale,
senza appartenere a nessuno, senza avere bisogno di nessuno,
come se fossi (nella mia indipendenza) tutto quanto l’amore – libera
dal timore della morte e del tempo, con un fiore bianco tra i capelli,
con un fiore tra i seni, e un altro tra le labbra per nascondere
il sorriso della libertà.
Avrebbero potuto
colpirmi da entrambi i lati con le frecce.
Mi offrivo a bersaglio
camminando lentamente sulle mura, stagliandomi
nel cielo porpora e oro della sera.
Tenevo gli occhi chiusi
per agevolare un gesto di ostilità da parte loro – ben sapendo in fondo
che nessuno lo avrebbe osato. Le loro mani tremavano per il bagliore
della mia bellezza e immortalità –
(forse ora posso aggiungere:
non la temevo la morte, perché la sentivo così lontana).
Allora
gettai i due fiori dai seni e dai capelli; – il terzo
lo tenevo ancora tra le labbra; – li gettai ai due lati delle mura
con gesto d’assoluta degnazione.
E allora gli uomini, dentro e fuori le mura,
si gettarono l’uno sull’altro, avversari e alleati, per conquistare
quei fiori e offrirmeli – i miei fiori. Non vidi
nient’altro dopo – soltanto schiene curve, come se tutti
fossero inginocchiati a terra, dove seccava al sole il sangue; – forse calpestavano già quei fiori.
Non vidi. 
Avevo mosso le mani,
mi ero sollevata sulle punte dei piedi, e ascesi al cielo
lasciandomi cadere di bocca anche il terzo fiore.
(…)

da Elena - Traduzione di Nicola Crocetti - Quarta dimensione

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