13 luglio 2017

da “La nausea” – Jean Paul Sartre

Maurits Cornelis Escher - Print gallery
da “La nausea” – Jean Paul Sartre
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Questo momento è stato straordinario. Ero lì, immobile e gelato, immerso in  un’estasi orribile. Ma nel seno stesso di quest’estasi era nato qualcosa di nuovo: comprendevo la Nausea, ora, la possedevo. A dire il vero, non mi formulavo la mia  scoperta. Ma credo che ora mi sarebbe facile metterla in parole. L’essenziale è la  contingenza. Voglio dire che, per definizione, l’esistenza non è la necessità. Esistere è esser lì,  semplicemente; gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare, ma non li si può mai dedurre.  C’è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c’è alcun essere necessario che può s piegare l’esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare; è l’assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto e gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare, come l’altra sera al «Ritrovo dei ferrovieri»: ecco la Nausea; ecco quello che i Porcaccioni - quelli di Poggio Verde è gli altri - tentano di nascondersi con il loro concetto di diritto. Ma che meschina menzogna: nessuno ha diritto; essi sono completamente gratuiti, come gli altri uomini, non arrivano a non sentirsi di troppo. E nel loro intimo,  segretamente, sono di troppo, cioè amorfi e vacui; tristi.
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