Lo straniero - Luchino Visconti
da Lo
straniero – Albert Camus
(...)"C’era
sempre l’alba e la mia domanda di grazia e finivo per dirmi che la cosa più
ragionevole era di non farmi violenza. È all’alba che vengono, lo sapevo. E ho
passato le mie notti ad aspettare quell’alba. Non mi è mai piaciuto farmi
sorprendere: quando mi succede qualcosa, preferisco essere presente. Così ho
finito per non dormire che un poco durante il giorno e, lungo tutte le mie
nottate, ho atteso pazientemente che la luce nascesse sul vetro del cielo. Il
momento più difficile era quell’ora incerta in cui sapevo che essi operano
d’abitudine. Passata la mezzanotte, attendevo e stavo in agguato. Mai il mio
orecchio aveva percepito tanti rumori, distinto suoni altrettanto lievi. Devo
dire del resto che in fondo ho avuto fortuna durante tutto questo periodo
perché non ho mai udito dei passi. La mamma diceva spesso che non si è mai
completamente infelici. Ero d’accordo con lei nella mia prigione quando il
cielo prendeva colore e una nuova giornata scivolava nella mia cella. Perché
poteva darsi ugualmente che udissi dei passi e mi scoppiasse il cuore. E
invece, per quanto il più lieve fruscio mi facesse balzare alla porta, per
quanto con l’orecchia schiacciata contro il legno attendessi perdutamente fino
a udire il mio proprio respiro, spaventato di trovarlo rauco e così simile
all’ansimare di un cane, in verità il cuore non mi scoppiava e avevo guadagnato
ancora una volta ventiquattr’ore. Durante tutto il giorno avevo la domanda di
grazia. Credo di aver sfruttato il massimo possibile quest’idea. Calcolavo gli
effetti e ottenevo dalle mie riflessioni il miglior rendimento. Partivo sempre
dalla supposizione peggiore: la domanda era respinta. “Ebbene, allora morrò.”
Più presto che molti altri, evidentemente. Ma tutti sanno che la vita non val
la pena di essere vissuta, e in fondo non ignoravo che importa poco morire a
trent’anni oppure a settanta quando si sa bene che in tutt’e due i casi altri
uomini e altre donne vivranno e questo per migliaia d’anni. Tutto era molto
chiaro, insomma: ero sempre io a morire, sia che morissi subito, sia che
morissi fra vent’anni. A questo punto quel che mi turbava un po’ nel mio
ragionamento era il vuoto terribile che sentivo in me al pensiero di vent’anni
di vita non ancora vissuta. Ma non avevo che da soffocarlo immaginando quali
sarebbero stati i miei pensieri dopo vent’anni, quando mi sarei dovuto trovare
in ogni modo a quel punto.
Dal momento che si muore, come e quando non
importa, è evidente. Dunque (e il difficile era di non perder di vista tutto il
filo dei ragionamenti che quel “dunque” rappresentava), dunque dovevo accettare
che il mio ricorso fosse respinto. A questo punto soltanto, avevo per così dire
il diritto, mi davo in certo qual modo il permesso di considerare la seconda
ipotesi: ero graziato. La difficoltà era che dovevo render meno violento questo
slancio del cuore e del corpo che mi pungeva gli occhi di una gioia insensata.
Dovevo cercare di calmare quel grido, di ridurlo alla ragione. Dovevo essere
ragionevole anche in questa ipotesi, se volevo rendere plausibile la mia
rassegnazione nell’altra. Quando vi riuscivo, avevo conquistato un’ora di
calma. Questo, perlomeno, era da tener presente. È in un simile momento che ho
rifiutato ancora una volta di ricevere il prete. Ero steso e sentivo
l’approssimarsi della sera d’estate da un certo color biondo del cielo. Avevo
appena respinto la domanda di grazia e sentivo circolare regolarmente le onde
del mio sangue. Non avevo bisogno di vedere il prete. Per la prima volta da
molto tempo ho pensato a Maria. Erano lunghi giorni che non mi scriveva più:
quella sera ho riflettuto e mi sono detto che forse si era stancata di essere
l’amante di un condannato a morte. Mi è venuta anche l’idea che forse era
malata o morta. Era nell’ordine delle cose. Certo non l’avrei saputo perché al
di fuori dei nostri corpi ormai divisi nulla ci legava o ci ricordava l’un
l’altro, e del resto, a partire da quel momento, il ricordo di Maria mi sarebbe
stato indifferente. Morta, non mi interessava più. Questo lo trovavo normale,
così come il fatto che gli altri mi dimenticheranno dopo che sarò morto. Non
avranno più nulla a che fare con me. Non posso nemmeno dire che fosse duro a
pensarci. In fondo non c’è idea cui non si finisca per far l’abitudine.
(...)
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