27 luglio 2017

da Lo straniero – Albert Camus

Lo straniero - Luchino Visconti
da Lo straniero – Albert Camus

(...)"C’era sempre l’alba e la mia domanda di grazia e finivo per dirmi che la cosa più ragionevole era di non farmi violenza. È all’alba che vengono, lo sapevo. E ho passato le mie notti ad aspettare quell’alba. Non mi è mai piaciuto farmi sorprendere: quando mi succede qualcosa, preferisco essere presente. Così ho finito per non dormire che un poco durante il giorno e, lungo tutte le mie nottate, ho atteso pazientemente che la luce nascesse sul vetro del cielo. Il momento più difficile era quell’ora incerta in cui sapevo che essi operano d’abitudine. Passata la mezzanotte, attendevo e stavo in agguato. Mai il mio orecchio aveva percepito tanti rumori, distinto suoni altrettanto lievi. Devo dire del resto che in fondo ho avuto fortuna durante tutto questo periodo perché non ho mai udito dei passi. La mamma diceva spesso che non si è mai completamente infelici. Ero d’accordo con lei nella mia prigione quando il cielo prendeva colore e una nuova giornata scivolava nella mia cella. Perché poteva darsi ugualmente che udissi dei passi e mi scoppiasse il cuore. E invece, per quanto il più lieve fruscio mi facesse balzare alla porta, per quanto con l’orecchia schiacciata contro il legno attendessi perdutamente fino a udire il mio proprio respiro, spaventato di trovarlo rauco e così simile all’ansimare di un cane, in verità il cuore non mi scoppiava e avevo guadagnato ancora una volta ventiquattr’ore. Durante tutto il giorno avevo la domanda di grazia. Credo di aver sfruttato il massimo possibile quest’idea. Calcolavo gli effetti e ottenevo dalle mie riflessioni il miglior rendimento. Partivo sempre dalla supposizione peggiore: la domanda era respinta. “Ebbene, allora morrò.” Più presto che molti altri, evidentemente. Ma tutti sanno che la vita non val la pena di essere vissuta, e in fondo non ignoravo che importa poco morire a trent’anni oppure a settanta quando si sa bene che in tutt’e due i casi altri uomini e altre donne vivranno e questo per migliaia d’anni. Tutto era molto chiaro, insomma: ero sempre io a morire, sia che morissi subito, sia che morissi fra vent’anni. A questo punto quel che mi turbava un po’ nel mio ragionamento era il vuoto terribile che sentivo in me al pensiero di vent’anni di vita non ancora vissuta. Ma non avevo che da soffocarlo immaginando quali sarebbero stati i miei pensieri dopo vent’anni, quando mi sarei dovuto trovare in ogni modo a quel punto.
 Dal momento che si muore, come e quando non importa, è evidente. Dunque (e il difficile era di non perder di vista tutto il filo dei ragionamenti che quel “dunque” rappresentava), dunque dovevo accettare che il mio ricorso fosse respinto. A questo punto soltanto, avevo per così dire il diritto, mi davo in certo qual modo il permesso di considerare la seconda ipotesi: ero graziato. La difficoltà era che dovevo render meno violento questo slancio del cuore e del corpo che mi pungeva gli occhi di una gioia insensata. Dovevo cercare di calmare quel grido, di ridurlo alla ragione. Dovevo essere ragionevole anche in questa ipotesi, se volevo rendere plausibile la mia rassegnazione nell’altra. Quando vi riuscivo, avevo conquistato un’ora di calma. Questo, perlomeno, era da tener presente. È in un simile momento che ho rifiutato ancora una volta di ricevere il prete. Ero steso e sentivo l’approssimarsi della sera d’estate da un certo color biondo del cielo. Avevo appena respinto la domanda di grazia e sentivo circolare regolarmente le onde del mio sangue. Non avevo bisogno di vedere il prete. Per la prima volta da molto tempo ho pensato a Maria. Erano lunghi giorni che non mi scriveva più: quella sera ho riflettuto e mi sono detto che forse si era stancata di essere l’amante di un condannato a morte. Mi è venuta anche l’idea che forse era malata o morta. Era nell’ordine delle cose. Certo non l’avrei saputo perché al di fuori dei nostri corpi ormai divisi nulla ci legava o ci ricordava l’un l’altro, e del resto, a partire da quel momento, il ricordo di Maria mi sarebbe stato indifferente. Morta, non mi interessava più. Questo lo trovavo normale, così come il fatto che gli altri mi dimenticheranno dopo che sarò morto. Non avranno più nulla a che fare con me. Non posso nemmeno dire che fosse duro a pensarci. In fondo non c’è idea cui non si finisca per far l’abitudine. 

(...)

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