13 giugno 2017

Ode ai calzini – Pablo Neruda

foto da CasaNoi Blog

Ode ai calzini – Pablo Neruda

Mi portò Maru Mori
un paio di calzini
che tessé con le sue mani
di pastora,
due calzini soavi
come lepri.
In essi
misi i piedi
come in
due
astucci
tessuti
con fibre del
crepuscolo
e pelle di pecora.

Violenti calzini,
i miei piedi furono
due pesci
di lana,
due larghi squali
di azzurro ultramarino
attraversati
da una treccia d’oro,
due giganteschi merli,
due cannoni:
i miei piedi
furono onorati
in questo modo
da
questi
celestiali
calzini.
Erano
tanto belli
che per prima cosa
i miei piedi mi sembrarono
inaccettabili
come due decrepiti
pompieri, pompieri
indegni
di quel fuoco
ricamato,
di quei luminosi
calzini.

Tuttavia
resistetti
alla tentazione acuta
di custodirli
come i collegiali
preservano
le lucciole,
come gli eruditi
collezionano
documenti sacri,
resistetti
all’impulso furioso
di porli
in una gabbia
d’oro
e dargli ogni giorno
miglio
e polpa di melone rosato.
Come scopritori
che nella selva
si dedicano al rarissimo
cervo verde
allo spiedo
e se lo mangiano
con rimorso,
stesi
i miei piedi
e mi infoderai
i
bei
calzini
e
dopo le scarpe.

E qui sta
la morale della mia ode:
due volte è bellezza
la bellezza
e quello che è buono è doppiamente
buono
quando si tratta di due calzini
di lana
nell’inverno.

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