13 giugno 2017

Sylvia Plath – Berck-Plage

Airborne by Andrew Wyeth
Sylvia Plath – Berck-Plage

(1)
Questo è il mare, dunque, questa grande sospensione.
Come fa affuìiorare la mia infiammazione, il cataplasma del sole.

Sorbetti dai colori elettrizzanti, che pallide ragazze
scucchiaiano dal gelo, viaggiano per l’aria in mani abbrustolite.

Perché questo silenzio, che cosa tengono nascosto?
Ho due gambe, mi muovo sorridendo.

Una sordina sabbiosa spegne le vibrazioni;
si stende per miglia e le voci rattrappite

ondeggiano, senza stampelle, dimezzate.
Le linee dell’occhio, scottate da queste superfici nude,

tornano indietro di scatto come elastici legati e fanno male.
C’è da stupirsi se lui si infila gli occhiali scuri?

C’è da stupirsi se ostenta una tonaca nera?
Eccolo che viene, tra i raccoglitori di sgombri

che gli fanno muro con la schiena.
Maneggiano le losanghe verdi e nere come parti di un corpo.

Il mare, che le ha cristallizzate,
ritrae strisciando tutti i suoi serpenti, con un lungo sibilo di angoscia.

(2)
Questa scarpa nera non ha pietà di nessuno.
Perché dovrebbe? è il feretro di un piede morto,

l’altro piede morto e senza dita di questo prete
che sonda il pozzo del suo libro,

le cui lettere curve si gonfiano davanti a lui come un panorama.
Osceni bikini si nascondono tra le dune,

seni e fianchi uno zucchero a velo
di piccoli cristalli che titillano la luce,

mentre una pozza verde spalanca l’occhio,
nauseata da ciò che ha inghiottito-----

membra, immagini, grida. Dietro i bunker di cemento
due innamorati si scollano l’uno dall’altra.

Oh bianco vasellame del mare,
i sospiri dalle coppe, il sale nella gola…

E lo spettatore, tremante,
trascinato come una lunga stoffa

attraverso una virulenza immobile,
e un’alga, pelosa come pudenda.

(3)
Sui balconi dell’albergo c’è uno scintillio di cose.
Cose, cose—

sedie a rotelle di acciaio tubolare, stampelle di alluminio.
Che salmastra dolcezza! Perché dovrei spingermi

oltre il frangiflutti maculato di telline?
Non sono un’infermiera, bianca e assidua.

Non sono un sorriso.
Questi bambini cercano qualcosa, con uncini e grida,

e il mio cuore è troppo piccolo per bendare le loro colpe tremende.
Questo è il costato di un uomo: le sue costole rosse,

i nervi che esplodono come alberi, e questo è il chirurgo:
un occhio come specchio—

una sfaccettatura di conoscenza.
Su un materasso a righe in una stanza

un vecchio sta scomparendo.
La moglie in lacrime è impotente.

Dove sono le pietre dell’occhio, gialle e preziose,
e la lingua, zaffiro di cenere.

(4)
Una faccia che è una torta nuziale in una gala di carta.
E lui com’è superiore adesso.

È come possedere un santo.
Le infermiere nelle loro cuffie alate non sono più così belle;

si stanno scurendo come gardenie stropicciate.
Il letto è scostato dal muro.

Ecco cos’è l’essere completi. È orribile.
Ha indosso il pigiama o un abito da sera

sotto la stoffa incollata dalla quale il suo rostro incipriato
si leva con tanta bianca serenità?

Gli hanno puntellato la mascella con un libro finché non s’è irrigidita
e composto le mani che tremavano: addio, addio.

Ora le lenzuola lavate sventolano al sole,
le federe stanno arieggiando.

C’è da ringraziare il cielo:
la lunga bara di quercia color sapone,

i curiosi portatori e la data spoglia
che si incide nell’argento con calma meravigliosa.

(5)
Il cielo grigio si abbassa, le colline come un mare verde
corrono piega su piega in lontananza, celando i loro solchi,

i solchi in cui dondolano i pensieri della moglie----
barche tozze e concrete

piene di vestiti e cappelli, servizi di porcellana e figlie sposate.
Nel salotto della casa di pietra

una tenda guizza davanti alla finestra aperta,
guizza e fluisce, povera candela.

Questa è la lingua del morto: ricorda, ricorda.
Come è lontano ora, le sue azioni

intorno a lui come mobili di un soggiorno, oggetti di scena.
Mentre i pallori si radunano-----

i pallori delle mani e delle facce del vicinato,
i pallori esaltati degli iris nel vento.

volano via nel nulla: ricordatevi di noi.
I banchi della memoria vuoti si affacciano su pietre,

su facciate di marmo con vene azzurre e vasetti di marmellata pieni di giunchiglie.
È così bello quassù: è un posto dove sostare.

(6)
La grassezza naturale di queste foglie di tiglio!-----
Verdi palle scapezzate, gli alberi marciano verso la chiesa.

La voce del prete, nell’aria sottile,
accoglie il cadavere al cancello,

rivolgendosi a esso, mentre le colline spandono le note della campana a morto;
un luccichio di grano e terra cruda.

Che nome ha quel colore?----
Vecchio sangue di muri incrostati che il sole guarisce,

vecchio sangue di moncherini, cuori bruciati.
La vedova con la sua borsetta nera e le tre figlie,

necessaria tra i fiori,
ripiega il viso come una stoffa delicata

che non verrà più distesa.
Mentre un cielo, verminoso di sorrisi accantonati,

espelle una nuvola dietro l’altra.
E i fiori di sposa prodigano una frescura,

e l’anima è una sposa
in un luogo immoto, e lo sposo è rosso e immemore, senza lineamenti.

(7)
Dietro il vetro di quest’auto
il mondo vibra piano, isolato e mite.

E io sono vestita di nero e immobile, parte del corteo,
e scivolo in prima su per la salita dietro al carretto.

E il prete è un vaso,
una stoffa catramosa, squallido e spento,

al seguito della bara sul suo carretto fiorito come una bella donna,
un pennacchio di seni, palpebre e labbra

che prende d’assalto la cima del colle.
Poi, dal cortile sbarrato, i bambini

sentono l’odore del nero da scarpe liquefatto,
e i loro visi si girano, muti e lenti,

gli occhi si spalancano
su una meraviglia----

sei cappelli tondi e neri nell’erba e una losanga di legno,
e una bocca nuda, rossa e irregolare.

Per un istante il cielo si riversa nella fossa come plasma.
Non c’è speranza, è l’abbandono.

traduzione di Anna Ravano

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