13 giugno 2017

Tulipani – Sylvia Plath


Tulipani – Sylvia Plath

I tulipani sono troppo eccitabili, qui è inverno.
Guarda com’è tutto bianco, tutto quieto e innevato.
Sto imparando la pace, da me quietamente posando
come posa la luce su questi muri bianchi, questo letto, queste mani.
Io non sono nessuno; non c’entro con le esplosioni.
Ho dato il mio nome e i miei vestiti alle infermiere
e all’anestesista la mia storia e ai chirurghi il mio corpo.

Tra guanciale e risvolto del lenzuolo han puntellata la mia testa
come un occhio tra due palpebre bianche che non si chiuderanno.
Stupida pupilla, tutto deve sorbirsi.
Le infermiere passano e ripassano, non disturbano,
passano come gabbiani all’entroterra nelle loro cuffie bianche,
con mani affaccendate, identiche l’una all’altra,
così che è impossibile contare quante sono.

Per loro il mio corpo è un ciottolo, vi attendono come l’acqua
Tende ai ciottoli sui quali deve scorrere, gentilmente levigandoli.
Mi portano il torpore nei loro lucenti aghi, mi portano il sonno.
Adesso ho perduto me stessa sono stufa di fardelli –--
La mia ventiquattrore di pelle come un nero portapillole,
mio marito e il bambino sorridenti dalla foto di famiglia;
mi agganciano la pelle i loro sorrisi, sorridenti ami.

Ho gettato cose a mare, io cargo di trent’anni
testardamente attaccata al mio nome e indirizzo.
Hanno passato una spugna sui miei affetti.
Impaurita e nuda sulla verde barella plasticata
ho guardata la miei teiera, i miei portapanni, i miei libri
sparire affondando e l’acqua si è chiusa sul mio capo.
Sono una monaca adesso, non sono mai stata così pura.

Io non volevo fiori, volevo solamente
giacere e palme riverse ed essere vuota.
Come si è liberi, liberi da non credersi.
La pace è così grande che abbaglia,
e non chiede nulla, un’etichetta col nome, pochi aggeggi.
E’ il finale a cui approdano i morti; me li figuro
Inghiottirselo come un’ostia da comunione.

I tulipani sono troppo rossi, mi fanno male.
Anche sotto la carta li sentivo respirare
lievi, sotto la bianca fasciatura, come un bebè mostruoso.
La loro rossezza parla alla mia ferita, gli risponde.
E sono infidi: sembrano galleggiare, benché mi tirano giù,
sconvolgendomi con le loro lingue imprevedute e il colore,
dozzina di rossi piombi intorno al collo.

Nessuno mi sorvegliava, adesso sono sorvegliata.
A me i tulipani si volgono e dietro me alla finestra
dove una volta al giorno si allarga e si assottiglia la luce
e io mi vedo, piatta buffa ombra di pupazzo ritagliato
fra l’occhio del sole e gli occhi dei tulipani,
e io non ho faccia, ho voluto cancellarmi.
I vividi tulipani divorano il mio ossigeno.

Prima del loro arrivo l’aria era calma abbastanza,
andava e veniva, respiro su respiro, senza trambusto.
Poi loro l’hanno riempita come un chiasso.
Adesso l’aria si rompe e vortica quale un fiume
si rompe e vortica su una macchina affondata rossa di ruggine.
Concentrano la mia attenzione che era prima felice
di giocare e riposare senza impegnarsi.

Le pareti, anche loro, sembrano riscaldarsi.
I tulipani dovrebbero stare in gabbia come bestie feroci;
si aprono come la bocca di un grande felino africano
e io mi accorgo del mio cuore che apre e chiude
la sua ampolla di rossi bocci per puro amore di me.
L’acqua che assaggio è calda e salata, come il mare,
e viene da un paese lontanissimo come la salute.

Traduzione di Giovanni Giudici

Nessun commento:

Posta un commento