2 giugno 2018

da “Dizionario delle cose perdute” – Francesco guccini

da “Dizionario delle cose perdute” – Francesco guccini
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Le palline
Come per i coperchini, ognuno di noi aveva una discreta dotazione di palline di terracotta, più qualcuna, rara e preziosa, di vetro.
Le palline venivano messe in gioco, nel senso che si potevano vincere o perdere. Il nostro sistema di gioco era il “castellino”, e cioè, stabilito quante palline c’erano in palio, se ne sistemavano tre l’una accanto all’altra e se ne aggiungeva una in cima. Si decideva poi a che distanza tirare un’altra pallina - questa, di solito, di vetro. Se abbattevi il castellino, lo vincevi. In Appennino, con gente più intimamente legata alla terra, con questo sistema potevi giocarti delle noci.
Si tirava a mano e le palline che non avevano colpito nulla rimanevano sul terreno; se qualche castellino restava in piedi, il gioco riprendeva dal giocatore con la pallina andata più lontano.
Per colpire invece un’altra pallina o fare una gara, diciamo, di fondo, il modo di tiro era diverso: potevi tirare da terra con il normale cricco (sistema cittadino), o col complesso sistema appenninico, consistente nell’appoggiare la pallina fra pollice e indice e poi, piantato il mignolo a terra, sparare il colpo. Questo metodo barocco era bello a vedersi ma di difficile realizzazione, oppure richiedeva davvero grande abilità e lunga pratica. Provai a importarlo in città ma venne prestamente rifiutato. Mi si dice invece che a Bologna usavano questo particolare tiro con regole ferree, tipo “palmo”, cioè la distanza dalla quale potevi tirare, e “cicato”, forse il suono della pallina che bocciava contro un’altra. Ma non ho capito bene, cito queste cose solo per evidenziare l’enorme complessità di regole dei giochi di noi ragazzi di allora.
Si giocava anche a una specie di golf: dopo aver scavato una serie di buchette (amici di Bologna mi hanno raccontato che estraevano cubetti di porfido dal manto stradale. Dopo li rimettevano a posto, certo!), si faceva il percorso di buca in buca con una pallina. Ma era un gioco piuttosto statico e lo si praticava abbastanza di rado.
Questo invece il prediletto. Nel dopoguerra fiorivano in ogni dove cantieri di case in costruzione, che avevano, a fianco, deliziosi mucchi di sabbia umida. Quando i muratori, alla sera, smontavano, i mucchi venivano presi d’assalto e piccole operose mani costruivano piste con audaci gallerie e arditi ponti in salita, deliziose curve a gomito e numerosi tourniquet: il tutto in vista di un altro Giro d’Italia, non più con i tappini ma con le palline. Mi dicono che un gioco simile veniva fatto, in anni più recenti, al mare, usando sfere di plastica con l’immagine di un corridore ciclista o automobilista. Mi sembra però si tratti di pallida imitazione del nostro gioco, che aveva una caratteristica di selvaggia improvvisazione in più e anche il piacere del proibito, che comportava l’ingresso di soppiatto nel cantiere dopo essersi assicurati della mancanza del guardiano, e la triste certezza che sicuramente, il giorno dopo, i rudi muratori avrebbero distrutto con nonscialanza il nostro capolavoro di pista, per costruirci banali case.
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