26 giugno 2018

da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

dipinto di Kenne Gregoire
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa
7.
Il principale Vasques. Provo, molte volte inspiegabilmente, l’ipnosi del principale Vasques. Cosa è per me quest’uomo, oltre che l’ostacolo occasionale di essere padrone delle mie ore, in determinate ore diurne della mia vita? Mi tratta bene, mi si rivolge con amabilità, salvo che in momenti improvvisi di ignota preoccupazione nei quali tratta tutti male. Sì, ma perché mi preoccupa? È un simbolo? Una ragione? Che cos’è? Il principale Vasques. Mi ricordo già adesso di lui con la nostalgia futura che certamente allora avrò. Me ne starò tranquillo in una casetta alla periferia di qualcosa, usufruendo di una quiete dove non porterò a termine l’opera che non porto a termine ora e, avendo continuato a non compierla, accamperò scuse diverse da quelle con le quali oggi provo a giustificarmi. Oppure sarò ricoverato in un ospizio per indigenti, serenamente incurante della completa sconfitta, mescolato a dei poveri emarginati che pure si erano ritenuti geni e non sono stati altro che dei mendicanti pieni di sogni; e alla massa anonima di coloro che non hanno avuto potere per vincere né manifestato chiara rinuncia per vincere di rovescio. Ovunque sarò, ricorderò con nostalgia il principale Vasques, l’ufficio in Rua dos Douradores, e la monotonia della vita quotidiana sarà come il rimembrare amori che per me non si sono mai concretizzati, o i trionfi che non sarebbero mai stati miei. Il principale Vasques. Lo vedo da là, oggi, proprio come lo vedo oggi da qui – statura media, robusto, un po’ rozzo, con pregi e difetti, franco e astuto, brusco e affabile – un capo, a parte il suo denaro, anche per le mani pelose e lente, con le vene marcate come piccoli muscoli colorati, il collo pieno ma non grasso, le guance colorite e allo stesso tempo lisce, sotto la barba scura sempre puntualmente fatta. Lo vedo. Vedo i suoi gesti di una lentezza energica, i suoi occhi pensosi che interiorizzano le cose reali esterne; mi provoca turbamento quando gli accade di non essere contento di me, e al contrario la mia anima si rallegra del suo sorriso, un sorriso ampio e umano, come l’applauso di una moltitudine. Forse sarà perché non ho vicino a me figure di maggior rilievo di quella del principale Vasques, il cui aspetto, comune e perfino ordinario, molte volte, si intreccia nella mia mente e mi distrae da me. Credo che ci sia una simbologia. Credo, o quasi credo, che altrove, in una vita remota, questo uomo abbia rappresentato.

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