dipinto di Fernando Botero
da “Gabriella
garofano e cannella” – Jorge Amado
(…)
Anche il professor
Josuè, nel suo intimo, criticava l‘infelice idea del colonnello Coriolano
Ribeiro, ricchissimo proprietario di terre, di installare sulla piazza San
Sebastiano, dove risiedevano le migliori famiglie, a due passi dall’abitazione
del colonnello Melk Tavares, la sua concubina così provocante e che tanto
sfacciatamente si offriva. Si fosse trattato di un’altra strada qualsiasi, inoltre,
più distante dal giardino di Malvina, forse egli avrebbe potuto arrischiarsi in
una notte senza luna per andare a riscuotere tutte le promesse lette negli
occhi invocanti di Gloria, sulle sue labbra semiaperte.
- Eccola, la peste
che fissa invitante il ragazzo...
Le zitelle, con i
lunghi abiti neri chiusi al collo, con neri scialli sulle spalle, sembravano
uccelli notturni appollaiati all’ingresso della piccola chiesa.
Osservavano il moto
della testa di Gloria mentre accompagnava Josuè nella passeggiata verso la casa
del colonnello Melk.
- È un giovane
onesto. Guarda solo Malvina.
- Voglio fare un voto
a san Sebastiano, - diceva la grassa Quinquina, - perché Malvina si innamori di
lui. Porterò una candela di quelle grandi.
- Ed io un’altra... -
rinforzava la magra Florzinha, solidale in tutto con la sorella.
Alla finestra, Gloria
sospirava, come in un gemito: ansia, tristezza, indignazione, desiderio, si
mescolavano in questo sospiro che moriva sulla piazza.
D’indignazione,
infatti, era colmo il suo petto, contro gli uomini in genere. Erano codardi e
ipocriti. Quando, nelle calde ore del pomeriggio, con la piazza vuota, le
persiane delle case serrate, gli uomini passavano soli davanti alla finestra
spalancata, le sorridevano, supplicavano un’occhiata, le auguravano buon giorno
con evidente emozione. Ma bastava che vi fosse qualcuno, anche una sola
zitella, o che fossero in compagnia, e guardavano dall’altra parte, giravano il
capo, come se gli ripugnasse vederla alla finestra, con i seni traboccanti
dalla blusa bordata di lino. Atteggiavano il volto a pudicizia offesa, anche
coloro che pochi minuti prima, nel passare da soli, avevano lanciato parole piccanti.
Gloria avrebbe provato gusto di sbattergli la finestra sul viso ma, ahimè!, non
aveva forza per farlo, quella luce di desiderio, intravista negli occhi degli
uomini, era tutto ciò che possedeva nella solitudine. Troppo poco per placare
la sua sete e la sua fame. E se avesse chiuso la finestra, avrebbe perduto anche
quei sorrisi, quelle occhiate ciniche, quelle parole eccitate e fugaci. Non esisteva
donna maritata ad Ilhéus, dove le mogli vivevano chiuse in casa a badare alle
faccende, che fosse ben sorvegliata e inaccessibile come quella “mantenuta”. Il
colonnello Coriolano non era uomo con cui scherzare. Ne avevano tutti tanta
paura che non osavano neppure salutare la povera Gloria. Solo Josuè era
diverso. Venti volte al pomeriggio, il suo sguardo si accendeva nel passare
sotto la finestra di Gloria, si spegneva davanti al portone di Malvina.
Gloria sapeva della
passione del professore e disprezzava la studentessa, indifferente a così
grande amore, la considerava poco donna, banale e stupida. Sapeva della
passione di Josuè, ma con tutto questo, continuava a sorridergli: con lo stesso
sorriso di invito e di promesse. Gli era grata perché egli, mai, neppure quando
Malvina si trovava sul portone di casa, sotto al gelsomino in fiore, si voltava
dall’altra parte. Ah, se avesse avuto un po' più di coraggio e avesse spinto,
nel mezzo della notte, chi sa? quella porta che Gloria lasciava sempre
aperta... Subito gli avrebbe fatto dimenticare quella ragazza orgogliosa. Josuè
non osava oltrepassare quella porta. Nessuno lo osava. Paura della lingua
tagliente delle zitelle, della gente sempre disposta a parlare male della vita altrui,
paura dello scandalo, ma soprattutto paura del colonnello Coriolano Ribeiro.
Tutti conoscevano la storia di Juca e di Chiquinha.
(…)
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