20 giugno 2018

da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado

dipinto di Fernando Botero
da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado
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Anche il professor Josuè, nel suo intimo, criticava l‘infelice idea del colonnello Coriolano Ribeiro, ricchissimo proprietario di terre, di installare sulla piazza San Sebastiano, dove risiedevano le migliori famiglie, a due passi dall’abitazione del colonnello Melk Tavares, la sua concubina così provocante e che tanto sfacciatamente si offriva. Si fosse trattato di un’altra strada qualsiasi, inoltre, più distante dal giardino di Malvina, forse egli avrebbe potuto arrischiarsi in una notte senza luna per andare a riscuotere tutte le promesse lette negli occhi invocanti di Gloria, sulle sue labbra semiaperte.
- Eccola, la peste che fissa invitante il ragazzo...
Le zitelle, con i lunghi abiti neri chiusi al collo, con neri scialli sulle spalle, sembravano uccelli notturni appollaiati all’ingresso della piccola chiesa.
Osservavano il moto della testa di Gloria mentre accompagnava Josuè nella passeggiata verso la casa del colonnello Melk.
- È un giovane onesto. Guarda solo Malvina.
- Voglio fare un voto a san Sebastiano, - diceva la grassa Quinquina, - perché Malvina si innamori di lui. Porterò una candela di quelle grandi.
- Ed io un’altra... - rinforzava la magra Florzinha, solidale in tutto con la sorella.
Alla finestra, Gloria sospirava, come in un gemito: ansia, tristezza, indignazione, desiderio, si mescolavano in questo sospiro che moriva sulla piazza.
D’indignazione, infatti, era colmo il suo petto, contro gli uomini in genere. Erano codardi e ipocriti. Quando, nelle calde ore del pomeriggio, con la piazza vuota, le persiane delle case serrate, gli uomini passavano soli davanti alla finestra spalancata, le sorridevano, supplicavano un’occhiata, le auguravano buon giorno con evidente emozione. Ma bastava che vi fosse qualcuno, anche una sola zitella, o che fossero in compagnia, e guardavano dall’altra parte, giravano il capo, come se gli ripugnasse vederla alla finestra, con i seni traboccanti dalla blusa bordata di lino. Atteggiavano il volto a pudicizia offesa, anche coloro che pochi minuti prima, nel passare da soli, avevano lanciato parole piccanti. Gloria avrebbe provato gusto di sbattergli la finestra sul viso ma, ahimè!, non aveva forza per farlo, quella luce di desiderio, intravista negli occhi degli uomini, era tutto ciò che possedeva nella solitudine. Troppo poco per placare la sua sete e la sua fame. E se avesse chiuso la finestra, avrebbe perduto anche quei sorrisi, quelle occhiate ciniche, quelle parole eccitate e fugaci. Non esisteva donna maritata ad Ilhéus, dove le mogli vivevano chiuse in casa a badare alle faccende, che fosse ben sorvegliata e inaccessibile come quella “mantenuta”. Il colonnello Coriolano non era uomo con cui scherzare. Ne avevano tutti tanta paura che non osavano neppure salutare la povera Gloria. Solo Josuè era diverso. Venti volte al pomeriggio, il suo sguardo si accendeva nel passare sotto la finestra di Gloria, si spegneva davanti al portone di Malvina.
Gloria sapeva della passione del professore e disprezzava la studentessa, indifferente a così grande amore, la considerava poco donna, banale e stupida. Sapeva della passione di Josuè, ma con tutto questo, continuava a sorridergli: con lo stesso sorriso di invito e di promesse. Gli era grata perché egli, mai, neppure quando Malvina si trovava sul portone di casa, sotto al gelsomino in fiore, si voltava dall’altra parte. Ah, se avesse avuto un po' più di coraggio e avesse spinto, nel mezzo della notte, chi sa? quella porta che Gloria lasciava sempre aperta... Subito gli avrebbe fatto dimenticare quella ragazza orgogliosa. Josuè non osava oltrepassare quella porta. Nessuno lo osava. Paura della lingua tagliente delle zitelle, della gente sempre disposta a parlare male della vita altrui, paura dello scandalo, ma soprattutto paura del colonnello Coriolano Ribeiro. Tutti conoscevano la storia di Juca e di Chiquinha.
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