1 giugno 2018

da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado

opera di Fernando Botero
da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado
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Clemente non aveva un mestiere particolare. Aveva lavorato sempre nei campi: piantare, seminare, raccogliere, era tutto ciò che sapeva fare. Inoltre veniva con il proposito di dedicarsi alla coltivazione del cacao, aveva sentito tante storie di gente arrivata come lui, vittima della siccità, fuggita dal deserto, quasi morta di fame, che in quelle terre era diventata ricca in brevissimo tempo. Questo narravano nel sertão, la fama di Ilhéus correva rapida, i ciechi cantavano le sue meraviglie sulle chitarre, i commessi viaggiatori parlavano di quelle terre fertili e coraggiose, lì un uomo realizzava il suo destino in un batter d’occhi, non esisteva coltivazione più redditizia del cacao. I gruppi di emigranti abbandonavano il sertão, inseguiti dalla siccità, abbandonavano la terra bruciata dove il bestiame moriva e le piantagioni bruciavano, prendevano la strada del sud. Molti restavano lungo il cammino, non sopportavano quel viaggio di orrori, altri morivano arrivando alla regione delle piogge, dove il tifo e la malaria aspettavano in agguato. Arrivavano decimati, brandelli di famiglie, morti di stanchezza, ma i cuori battevano allegramente in quell’ultimo giorno di calvario. Ancora uno sforzo e avrebbero raggiunto la città ricca e facile. Le terre del cacao dove il danaro scorreva per le strade. Clemente aveva molto bagaglio. Oltre alla sua roba - l’armonica e un sacco pieno per metà - portava la borsa di Gabriella. La marcia proseguiva lenta, c’erano fra loro dei vecchi, ed anche i ragazzi si trovavano al limite della resistenza, non ne potevano più. Alcuni praticamente si trascinavano, sorretti solo da un filo di speranza. Solo Gabriella sembrava non risentire del lungo cammino, i suoi piedi scivolavano leggeri sui sentieri aperti a colpi di falce nella foresta. Come se non vi fossero pietre, rocce, ceppi taglienti. La polvere della strada desertica l’aveva ricoperta dalla testa ai piedi al punto che era impossibile distinguere ora i suoi lineamenti. Nei capelli il pettine non passava più, tanto era la polvere accumulata. Sembrava una povera demente smarrita lungo il cammino.
Ma Clemente sapeva come era fatta realmente e lo sapeva in ogni particolare del suo essere, nella punta delle dita, sulla pelle del petto. Quando i due gruppi si erano incontrati, agli inizi del viaggio, il colore del volto di Gabriella, e delle gambe, era ancora visibile, i capelli le ondeggiavano ancora sul capo con un vento di profumo. Anche adesso, attraverso la patina di sporco che l’avvolgeva, egli riusciva a vederla come il primo giorno, appoggiata ad un albero, con il corpo armonioso, il volto sorridente, mentre addentava un frutto.
- Non sembra che tu venga da così lontano...
Ella sorrise: - Stiamo per arrivare. Siamo vicini. È bello arrivare...
Egli chiuse ancor più il volto scontroso: - Non la penso così.
- E perché no? - alzò verso il volto accigliato dell’uomo suoi occhi un po' timidi e un po' innocenti, un po' insolenti e provocatori. - Non vieni anche tu per lavorare nel cacao, guadagnare danaro?
- Tu lo sai perché, - borbottò egli con rabbia. - Per me questa strada avrebbe potuto durare tutta la vita. Non mi importava...
Nel riso di lei c’era un velo di malinconia, che non arrivava ad essere tristezza, come se avesse accettato il destino.
- Tutte le cose buone, tutte le cose cattive hanno sempre fine.
Una rabbia impotente urlava nel petto dell’uomo. Ma ancora una volta, dominando la voce, rifece la domanda rivolta tante volte durante il cammino e nelle notti insonni:
- Non vuoi proprio seguirmi nella foresta? Mettere insieme noi due, un campo, piantare cacao? In breve tempo avremo la nostra proprietà, cominceremo a vivere.
La voce di Gabriella era dolce, ma definitiva: - Ti ho già detto i miei progetti. Voglio restare in città, non voglio più vivere nei boschi. Troverò un lavoro di cuoca, di lavandaia, o di cameriera, in casa d’altri...
Aggiunse in un ricordo lieto:
- Sono già stata in casa di gente ricca, ho imparato a cucinare.
- Là non avrai avvenire. Nella piantagione, con me, potremo a poco a poco sistemarci...
Ella non rispose. Continuava la strada quasi danzando. Sembrava una povera pazza con quei capelli incrostati, avvolta di sporcizia, con i piedi feriti, piaghe sparse su tutto il corpo. Ma Clemente la vedeva dolce e flessuosa, con la chioma sciolta, il volto delicato, le gambe alte e il busto armonioso. Divenne ancora più scuro in volto, avrebbe voluto tenerla con sé per sempre. Come avrebbe potuto vivere senza il calore di Gabriella?
(…)

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