18 giugno 2018

da “Il canto di Penelope” - Margaret Atwood

foto di Jan Masny
da “Il canto di Penelope” - Margaret Atwood
(…)
Dolore infantile. Lamento
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Anche noi eravamo bambine. Anche noi siamo nate da genitori sbagliati. Genitori poveri, genitori schiavi, genitori contadini, genitori servi; genitori che ci hanno vendute, genitori ai quali ci hanno strappate. Quei genitori non erano dèi, non erano semidei, non erano ninfe o naiadi. Da bambine siamo state portate a lavorare a palazzo; sgobbavamo dall’alba al tramonto. Da bambine. Se piangevamo, nessuno asciugava le nostre lacrime. Se dormivamo, ci svegliavano a calci. Dicevano che non avevamo una madre. Dicevano che non avevamo un padre. Dicevano che eravamo pigre. Dicevano che eravamo sporche. Eravamo sporche. La sporcizia era la nostra preoccupazione, era il nostro mestiere, era la
nostra specialità, la sporcizia era la nostra colpa. Eravamo le ragazze sporche. Se i nostri padroni o i figli dei nostri padroni, un nobile visitatore o i figli di un nobile visitatore volevano dormire con noi, non potevamo rifiutare. Era inutile piangere, inutile fingersi ammalate. E tutto questo succedeva durante la nostra infanzia. Se avevamo un bell’aspetto, la nostra vita era peggiore. Macinavamo la farina per sontuose feste di matrimonio, poi mangiavamo gli avanzi; noi non avremmo mai avuto una festa di matrimonio, nessuno avrebbe offerto ricchi doni per avere noi in cambio; i nostri corpi avevano poco valore. Ma anche noi volevamo cantare e ballare, anche noi volevamo essere felici. Man mano che crescevamo, diventavamo raffinate e ambigue, diventavamo
maestre nel mascherare il sarcasmo. Dimenavamo i fianchi, ci nascondevamo nella penombra, ammiccavamo, mandavamo segnali inarcando le sopracciglia, fin da quando eravamo piccole; ci incontravamo con i ragazzi dietro il porcile, nobili o ignobili che fossero. Ci rotolavamo nella paglia, nel fango, nel letame, sui letti di morbido vello che preparavamo per i nostri padroni. Bevevamo il vino rimasto nelle coppe. Sputavamo nei piatti di portata. Tra la sala illuminata e il retrocucina buio rubavamo pezzi di carne e ci riempivamo la bocca. Ridevamo durante i nostri incontri notturni, nel sottotetto. Arraffavamo quello che ci riusciva.

traduzione di G. Aurelio Privitera

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