19 giugno 2018

da “L’appetito dell’imperatore” – Franco Cardini

da “L’appetito dell’imperatore” – Franco Cardini

PROFUMO D’ARANCI
Ormai le porte della città erano state chiuse e la campana del coprifuoco aveva fatto sentire i suoi rintocchi. Un’ombra furtiva saliva rapida per le erte viuzze che portano alla piazza di San Rufino. Si arrestò a un ingresso secondario del palazzo vescovile, dove un portinaio sembrava attenderla. Poche parole in fretta, e s’infilò nel vano della porta appena rischiarato da una fioca lucerna.
Il frate, alto, pallido in volto, leggermente curvo, dal passo agile del giovane abituato ai sentieri di montagna, divorò gli stretti scalini di pietra ed entrò nella grande sala spoglia, adorna solo di due bifore che davano sulla piazza. Da sotto, giungeva un fitto brusio di voci sommesse; per la città, lampeggiavano luci che quella notte, nonostante i divieti statutari, non si sarebbero spente. Non era, quella, una sera come tutte le altre.
Il cardinale Ugolino d’Ostia sedeva su un semplice scranno di quercia, un libro di preghiere aperto alle pagine dei Vespri. Accanto a lui, su un basso sgabello, c’era un vassoio di ceramica dipinta di Deruta con gli avanzi di una parca cena: una ciotola d’acquacotta vuota a metà, un piattino con un po’ di ricotta fresca, una brocca d’acqua. Il principe della Chiesa dette un paio di colpi di tosse, quindi alzò appena gli occhi e invitò con un cenno il frate a farsi avanti; gli porse la mano da baciare ma la ritrasse quasi subito, con il fare istintivo di chi sia abituato a certe manifestazioni d’ossequio da parte dei suoi interlocutori, le ritenga doverose, ma non le gradisca. «Siedi dove vuoi» disse. Un invito che sarebbe stato ironico, se rivolto a uno che non fosse un frate minore: nell’ampia stanza non c’erano altri sedili a parte il suo. Ma Elia ringraziò con un cenno della testa e si sedette agilmente sul pavimento coperto di paglia.
Certo, di maggio, quando le stanze si cospargono d’erba profumata recisa di fresco e di fiori di campo, sarebbe stato meglio: ma andava bene anche così.
«Hai visto il suo corpo nudo? Hai cercato i segni?»
«Il sole era già tramontato, signore, e attorno a lui c’era una gran ressa. Mi è parso tanto piccolo, tanto fragile, steso sulla nuda terra…»
«Non lo avrete lasciato così.»
«Certamente no, signore; tuttavia, è così che ha voluto morire. Alcuni assisani erano pronti ad avvolgerlo in una ricchissima coperta di sciamito: ai loro occhi, è già una reliquia da contendere agli altri, ai perugini, a quelli di Gubbio, alla gente di Spoleto. Ma noi non abbiamo voluto: lui non avrebbe voluto. Lo abbiamo ravvolto in un sudario di lino grezzo ma è ancora là, sulla terra nuda, e i fratelli lo veglieranno pregando per tutta la notte.»
«Ti ho chiesto dei segni.»
«Non è stata possibile una ricognizione immediata, né sarebbe stato prudente. Era già scuro. Ho appena intravisto qualcosa: sulle mani, sui piedi, sul costato…»
«Domattina presto, sul far dell’alba, farai quanto va fatto. E dimmi, avete raccolto le sue ultime parole? Sono state trascritte?»
Elia non rispose: chinò la testa in silenzio, tormentando con la mano destra appoggiata sul ginocchio l’estremità del cingolo di corda che gli stringeva la vita.
«E allora?» chiese Ugolino, che quando domandava qualcosa non sopportava indugi nelle risposte. Elia sospirò.
«Il fatto è, signore, che non ha mai parlato. Credo fosse davvero ormai troppo debole, e poi è sempre stato di poche parole. Voi lo sapete: a volte amava perfino predicare con i soli gesti, come quella volta dinanzi alle Povere Signore di San Damiano.»
«Ma dai, sai molto bene che c’erano dei momenti in cui parlava fin troppo; cantava, addirittura…»
«Però stasera era davvero sfinito: si è sforzato di fare un gesto di benedizione verso di noi, e forse anche in direzione della città, ma credo che ormai non vedesse più nulla. Comunque, era ancora lucido; e difatti ha riconosciuto subito madonna Giacomina, le ha sorriso e…»
(…)

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